Tarkovskiana. Immagine suono e parola nell'universo artistico di Andrej Tarkovskij

'Tarkovskiana. Immagine suono e parola nell'universo artistico di Andrej Tarkovskij' è il titolo con il quale vengono ricordati in questi mesi gli ottant'anni dalla nascita del regista russo Andrej Tarkovskij (1932-1986) con la proposta di tutti i suoi film, di cinque incontri divulgativi, una mostra fotografica alla fine di giugno ed un convegno di studi conclusivo in ottobre all'Università di Ca' Foscari. Oltre ad essere un importante autore del cinema internazionale, Tarkovskij è anche un vero artista, un autentico talento dell'Immagine e della Parola. Ed è infatti sulle due dimensioni della visione e della comunicazione verbale che l'omaggio al cineasta vuole sottolineare, insieme alla classicità del suo lavoro artistico, l'attualità della produzione, talmente 'inattuale' da essere provocatoriamente incisiva soprattutto in questi anni di disagi esistenziali e certamente anche per i tempi a venire. Sincero interprete d'un grande cinema della compassione etica, struggente poeta visivo, maestro riconosciuto a livello internazionale oltre che profondo teorico del cinema spirituale, Tarkovskij affida alla riflessione culturale di questo secolo l'originalità, a suo modo profetica e problematica, di una galleria di temi, simboli e personaggi indimenticabili: scomodi, indomabili testimoni d'accusa all'odierna Crisi dell'Individuo e della Società (occidentale). Da L'Infanzia di Ivan a Lo specchio, da Andrej Rublëv a Nostalghia, da Solaris a Stalker fino al testamentario Sacrificio, la sua è una intensa, struggente e lacerante filmografia che si rende ineguagliabile per l'onirismo del tempo narrativo e della memoria, per il coraggio fideistico di predizioni visionarie. Ma la produzione artistica tarkovskiana manifesta un orizzonte espressivo che, non esaurendosi nel pur esaltante dominio cinematografico come nell'inesausta ricerca del sacro entro forme estetico-visuali, coinvolge intensamente altre sfere artistiche ed esistenziali. Innanzitutto la poesia. Il clima della parola poetica o che tale diventa in contesti adeguati a partire dall'àmbito familiare - il padre è l'importante poeta Arsenij Tarkovskij (1907-1989) - si espande sia nella scrittura (le sceneggiature, i Racconti cinematografici, i saggi, gli scritti vari, i Diari), sia nel conflitto Ragione/'Sragione' sia, infine, nelle antinomie della rappresentazione speculare alla sua assenza, trovando nel racconto del silenzio come nelle pieghe del non detto o nelle varianti dolorose dell'assenza - ad esempio la malattia o l'orfanilità - una cifra di lettura ad un tempo pessimistico-melancolica e fortemente sovversiva. Non minore importanza, nello scenario (psicanalitico) dei mondi di sogno tarkovskiani, rivestono i contesti dell'arte e della musica. Per tutti, la contraddizione tra l'ispirazione pittorica ed il modello formale del Rinascimento italiano - Leonardo da Vinci, Piero della Francesca - ma poi anche Dürer, Pieter Bruegel il vecchio a contrasto con quella dell'originaria spiritualità russa dell'icona (penso al monaco pittore Andrej Rublëv, ma non solo) è una problematica che si completa con gli spazi anche mentali offerti dall'architettura e dalla geometria di inquietanti immagini filmiche. Con le quali interagiscono diverse forme di iperrealistiche visionarietà tra il pieno sentire «astratto» delle atmosfere musicali (soprattutto Johann Sebastian Bach, ma anche l'opera: cfr. Boris Godunov) ed eccentriche manifestazioni sonore di musica elettronica (Stalker). Il tutto a definire uno spettro tematico di stampo fortemente autobiografico mentre è universale, linguistico, estetico-cromatico, filosofico ed etico. Un prisma della realtà e del fantastico a molti specchi nel quale si riflettono, insieme all'Uomo tarkovskiano, diverse tipologie di intellettuali e spettatori di più d'una generazione. E dentro al quale abitano, per condividere uno stato di perenne incombente krisis interiore, sia i suoi personaggi fatalmente immersi nello scontro tra Natura e Cultura, sia le ataviche paure dell'essere umano di ogni tempo. E allora, cosa sono le incursioni nella fantascienza presa a puro pretesto per scavare nell'angoscia dell'essere umano di Solaris e di Stalker se non avventure prive di astronavi o effetti speciali e piuttosto strazianti immersioni nei misteri emanati da un oceano pensante nello spazio i cui 'ospiti' non umani anticipano i successivi 'replicanti', doppioni, cloni, ecc.? Oppure, cosa descrive quell'altra fantascienza della coscienza nella quale si ostina pervicacemente a vivere come prigioniero della sua tremenda condizione di ribelle, la guida disperata con una missione etica da compiere - allora non ancora inteso, lo stalking, quale molestia punibile per legge - come fa lo stalker-Tarkovskij della cultura odierna? Questi due film e gli altri capolavori riescono a raccontare la ricerca di un senso autentico dell'esistenza e dei suoi tormenti, senza tuttavia dimenticare, come detto, la sfera onirica del cinema. Per il quale l'artista nutre lo stesso amore che ha per la poesia e che venera come una religione alla quale fa aderire come una sua seconda pelle, l'Immagine del Tempo. Di quest'ultimo, diversamente dal suo indiretto maestro Ejzenštejn che venerava l'estetica e la pratica del montaggio, esalta e venera fino all'ossessione lo scorrere del tempo ininterrotto. Nei suoi film la narrazione del tempo è qualcosa di fisico, materico, è una cosa, che a volte fa persino male alla vista, come il piano sequenza estenuante di oltre otto minuti di Nostalghia e, al tempo stesso, di inedita evanescente e magica oniricità. Nelle avventure dei suoi personaggi sempre in crisi - il ragazzo Ivan, il monaco pittore di icone Rublëv, lo psicologo 'solariano' Kris Kelvin, la macroscopia del soggetto autobiografico ne Lo specchio, l'illusione pessimistica dello stalker, la soffocante nostalgia del poeta in Italia, il sacrificio terminale di Alexander (interpretato magistralmente, come il matto Domenico di Nostalghia, dal grande attore bergmaniano Erland Josephson scomparso nel febbraio scorso) - in tutte queste vicende, dunque, Andrej Tarkovskij rimarrà nella storia del cinema d'autore anche per l'uso che ha fatto della dimensione temporale, certamente in stretta connessione con le dinamiche dello spazio all'interno dell'inquadratrura. E allora la nebbia, la pioggia, i torrenti, i laghetti, le pozzanghere, le zone anfibie a lui tanto care, insomma l'acqua nelle molteplici forme che assume e che serve per ricercare l'armonia nella natura o la sofferenza nella cultura, per presentificare l'invenzione del ricordo diventa uno dei personaggi dell'unicum visivo che sono i suoi film. Senza trascurare, ovviamente, un altro stupendo elemento, il vento. Entrambi - ai quali non sono affatto estranei né la terra né il fuoco - sollecitando la macchina da presa che il regista usa a mo' di scalpello per scolpire il tempo, come recita il titolo di un suo saggio di regia, evocano ritmi di racconto impregnati del senso immanente del fuori campo. Di quella dimensione non visibile nello spazio-tempo dell'inquadratura e che proprio per questo il regista dell'insofferenza vuole spezzare, contaminare. E uno degli strumenti è appunto affidato all'invisibile vento che consente di volare o anche solo di levitare un po', di staccarsi da terra per vedere persone, terre e mondi da un altro punto di vista, per capire meglio e meglio scoprire, insieme ed oltre gli strazianti orizzonti della visionarietà, nuovi contenuti di spiritualità nelle esemplari rappresentazioni create da un rigoroso e solitario artista contemporaneo.

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