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Quello che di più grande l'uomo ha realizzato sulla terra

A chiudere la stagione primaverile di Teatro Fondamenta Nuove, giovedì 22 maggio alle 21, la talentuosa performer Silvia Costa (artist in residence al Teatro) presenta al pubblico l'enigmatico e affascinante lavoro che l'ha vista finalista della più recente edizione del Premio Scenario, Quello che di più grande l'uomo ha realizzato sulla terra, progetto che scava nelle parole e nei gesti, per riuscire ad afferrare i grandi compiti dell'esistenza. Sulla scena, quasi la pagina bianca di un libro, abitata da immagini e parole astratte e insieme quotidiane, ci saranno con Silvia Costa, Laura Dondoli, Giacomo Garaffoni e Sergio Policicchio. Bisognerebbe iniziare a fissare piuttosto che a guardare. Perché nello sguardo l’occhio è libero di andare dove la volontà lo porta; mentre nello sguardo fisso, l’occhio si obbliga a rimanere costante su un unico oggetto, le cui singole parti non hanno più rilevanza. Quello che conta è l’oggetto in sé. L’oggetto che qui s’intende fissare sembra avere una forma precisa, qualcosa di profondamente familiare, di semplice, di umano. Amore, morte, felicità, dolore, attenzione alle cose del creato. I grandi compiti dell’esistenza. Quali sono le parole e i gesti per riuscire afferrarli? Ci proviamo, ma le nostre azioni e parole perdono ogni volta di sostanza, si trasformano in una domanda continua che non trova definizione o risposta. Come dice Carver, è come se ci chiedessero di descrivere a un cieco che cos’è una cattedrale. Ci possiamo solo avvicinare a quella che potrebbe essere una sua definizione, ma non saremo mai in grado di dargliene una definitiva. Il suo spostamento, sempre un po’ più là da noi, è quello che ci fa avanzare, che ci porta a ritentare, ad aggiungere pezzi, fa in modo che non ci sia un termine ultimo, un’ ultima parola, un ultimatum, una forma chiusa. Una fine. Per cercare di definire, potremmo non finire mai. E allora questa lotta all’insufficienza del sentire umano diventa irriducibile. Diventa il dramma in cui vogliamo sprofondare. Non è che non ci sia nessuna cosa da esprimere: c’è da esprimere questa mancanza di contenuto che, per il suo essere vaga, è più comprensibile di qualsiasi altra cosa. Meno afferma e più si fa appartenente a tutti. Poiché non resta che dire che sia quella cosa, quella forma. Come un oggetto della minimal art che con la sua fredda presenza è in grado di lanciare fuori di sé le traiettorie di possibili relazioni, rendendole una funzione dello spazio, della luce, del campo visivo dello spettatore, allo stesso modo questo lavoro vuole porre l’accento sull’istante di esperienza dello spettatore che avviene al di fuori dello spazio e del tempo reali, un momento, l’unico, che come un’illuminazione infonde all’opera il suo vero significato, che sembrava prima mancante.

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Teatro Fondamenta Nuove
Cannaregio 5013 - 30122 Venezia
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