Nel campo di concentramento di Belsen, presso il villaggio di Bergen, i prigionieri non morivano nelle camere a gas, ma di malattia e di stenti. Quando i primi ufficiali britannici vi entrarono, mucchi di corpi giacevano in tutto il campo. In un settore femminile trovarono duemilatrecento donne, tutte in condizioni disperate. Per arginare l'epidemia di tifo il campo fu bruciato dai liberatori.
Da Belsen, dove morì Anna Frank, nel 1945 miracolosamente uscì viva Hanna Levy-Hass, ebrea yugoslava, comunista. Il suo diario del terribile periodo trascorso come prigioniera rappresenta un drammatico spaccato di oppressione e orrori, oltre che un documento storico di grande lucidità sulle divisioni politiche e sociali che vigevano nel campo stesso. La tragedia di una quotidianità vissuta in condizioni totalmente abominevoli, pur compromettendo per sempre la serenità di vita di Hanna, non ha mai indebolito il suo profondo senso di moralità ed etica.
La lettura scenica di alcune pagine di questo diario ci condurrà in una profonda riflessione sulla Shoah insieme alle composizioni poetiche di grandi autori come Erich Fried, Paul Celan, Wislawa Szymborska. Tra questi poeti anche il giovane Jean-Pierre Voidies, il quale, deportato a diciassette anni, compose mentalmente le sue poesie, senza carta né matita, per tutto il tempo della sua detenzione.
Gli episodi di pulizie etniche non sono solo un ricordo. Dunque la memoria è irrinunciabile, unita a un autentico rispetto della persona. Ed è la scrittura che ne alimenta il diritto, riscattando l'umanità oltraggiata dalla follia e dall'odio razzista. (Testo di Maria Teresa Crisigiovanni)
Lettura scenica a cura di Voci di Carta
Adattamento e regia di Simonetta Nardi