Steve Jobs: un’icona del XXI secolo. Il suo ingegno ha cambiato il mondo, nessuno è rimasto escluso – nella nostra civiltà – dall’estetica e dagli agi della sua tecnologia. Di più: la sua utopia è stata determinante nell’immaginario collettivo. Basta pensare al suo celebre discorso agli allievi della Stanford University: «Siate affamati. Siate folli» esortazioni a non omologarsi, a osare che dal 2005 continuano a rimbalzare sul web.
Come accade sempre per figure tanto straordinarie, anche quella di Jobs – e ancor più della sua Apple – presenta però dei lati oscuri e Mike Daisey, coraggioso drammaturgo americano li evidenzia in un testo dinamico e acutamente critico.
Un tipo di teatro che si fa strumento di discussione viva e che ha suscitato notevoli reazioni polemiche: la Apple ha dovuto fare delle precisazioni, ma anche Daisey si è visto costretto a dare conto di alcune sue “interpretazioni artistiche” non proprio rispondenti al vero, tanto che il suo testo continua ad essere aggiornato e dettagliato. Grazie alla traduzione e all’adattamento di Enrico Luttmann e alla sensibilità di un regista attento al contemporaneo come Giampiero Solari, rimasto affascinato dal progetto Il tormento e l’estasi di Steve Jobs esordisce in Italia, prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.
Al carisma di Fulvio Falzarano, il compito di farsi tramite delle riflessioni di Daisey, che intreccia la luminosa epopea di Jobs alla rivelazione del profilo inquietante e taciuto del “prezzo” pagato per quella tecnologia che ha cambiato il mondo.
Daisey è un convinto “seguace del culto di Mac”: ripercorre entusiasta i traguardi di Jobs esternando – in un divertente contrappunto – le sue (e nostre) smanie per ogni nuova creazione con la “mela”.