IL valore del lavoro, i diritti sociali, l’idea di uguaglianza hanno subìto negli ultimi quattro lustri un’impressionante corrosione. Di più, una
demolizione. Perché? Per tante ragioni. Ma la principale è quella culturale. La sottocultura stracciona del consumo, la virtualizzazione della vita che essa propaganda sono dilagate senza che vi fossero anticorpi ad arginare una tale infezione del senso dell’esistenza e a debellarla. Gli anticorpi contro questa pestilenza sono i geni della cultura del lavoro e della giustizia sociale. Ma coloro che dovevano
avere cura di quel patrimonio genetico si sono fatti sedurre fino all’ebbrezza dall’estetica miserabile e volgare del facile arricchimento ed hanno scelto il facile arricchimento e la cecità davanti alle nuove servitù celate dalle false promesse del dio mercato. Le lotte hanno permesso all’umanità di progredire per
edificare un futuro redento dalla logica del privilegio. I canti sociali, di lavoro, politici e rivoluzionari sono
stati creati e cantati con questo scopo, e con questa intenzione noi li cantiamo. Sono parte inestimabile
dell’eredità che spetta alle future generazioni. Anche loro li canteranno per dire: “noi siamo esseri umani
titolari di dignità e diritti, non servi del denaro e del consumo”.