Boccioni, Brancusi, Harp e Giacometti.
Sono loro i padri nobili delle sculture in
vetro di Tristano di Robilant […]. Realizzate
nelle vetrerie di Murano, costituiscono
l’ultimo, intenso capitolo della ricerca
dell’artista, iniziata nel 1993. Dopo aver
lavorato con materiali diversi, come il
bronzo, l’alluminio o la ceramica, nel 2005
di Robilant ha cominciato a concentrarsi
sulla produzione di opere in vetro
trasparente e colorato, dopo aver già
realizzato negli anni 90 alcuni lavori in vetro
solido.
L’interesse dell’artista per il vetro muove
dalla possibilità di realizzare opere che
entrino in relazione con la luce naturale, in
grado di accenderne le superfici e
sottolineare la purezza della materia. A
questo si abbina l’esaltazione della scultura
intesa come frammento , che trae forma dal
patrimonio visivo dell’artista, un territorio
rarefatto dove la storia dell’arte incontra la
letteratura orientale e le arti decorative si
incrociano con la poesia. Affascinato dalle
architetture di vetro del primo 900 , come il
leggendario Cristal Palace costruito a
Londra nel 1851 per ospitare l’esposizione
universale e devastato da un incendio nel
1936, ma anche dalle tinte ocra di un icona
bizantina, osservata in occasione di una
mostra alla Royal Academy, che
rappresentava la scala di Giacobbe,
Tristano ha raggiunto con queste sculture
una maturità nutrita dalla consapevolezza
di appartante a quella ristretta cerchia di
artisti che hanno trasformato la loro
sensibilità più intima in una forma visiva
sottile ma penetrante.
È un codice espressivo che si nutre di
suggestioni differenti ma complementari:
l’essenzialità razionale e distante di Sol Le
Witt, lo studio sul rapporto tra pensiero,
spazio e percezione di Den Graham, la
luminosità aurorale di beato Angelico e la
cultura dell’assemblaggio che anima le
opere di Robert Rauschenberg. A questi mi
permetto di aggiungere un opera di Lucio
Fontana, il lampadario di neon realizzato
per lo scalone d’onore del palazzo della
triennale a Milano nel 1951, che Giorgio
Verzotti ha indicato di recente come punto
di riferimento per l’arte italiana delle ultime
generazioni capace di volgere le spalle alla
storia dell’arte per definirsi come sistema
narrativo autonomo, che rifugge dalle
problematiche universali per esplorare la
delicata dimensione dell’intimità, presente
come momento di ispirazione dell’opera
attraverso la memoria personale. Una
narrazione talmente personale da non
temere il confronto con i grandi maestri del
novecento, numi tutelari dell’arte di Tristano
di Robilant, né di nutrirsi all’inesauribile
delle arti decorative, che nei primi decenni
del novecento vedono artisti come Duilio
Candelotti o Galileo Chini realizzare
raffinati oggetti in vetro colorato. Le
sculture di Tristano non si compiacciano
della loro natura formale ma la mettono in
gioco, creando relazioni casuali tra interno
ed esterno, contenitore e contenuto. Si
posizionano in un punto di perfetto
equilibrio tra scultura e oggetto , senza
rinunciare a una vocazione ludica e
casuale. Nel permettere lo spostamento dei
diversi elementi che le compongono. Una
modalità che tende a smitizzare la natura
sacrale e auratica dell’opera per avvicinarla
ai riti inafferrabili del quotidiano: un ulteriore
qualità dell’arte di Tristano di Robilant che
la rende intima ma preziosa e soprattutto
più vicina alla vera essenza delle cose: la
luce.
Ludovico Pratesi. Silvana Editoriale, Milano, 2009