Nel Cinquecento avere una figlia femmina era un problema piuttosto grosso: agli occhi del padre era una parte del patrimonio economico che andava in fumo al momento del matrimonio. Avere una figlia femmina, equivaleva ad una perdita economica. Certamente una figlia bella e sana era economicamente vantaggiosa perché poteva essere accasata con una dote modesta, mentre una figlia meno appetibile o con qualche difetto fisico prevedeva esborsi assai più salati.
Purtroppo però, in tempi di crisi economica, il mercato matrimoniale subì un crollo generalizzato e alla continua inflazione delle doti si dovette porre rimedio trovando una soluzione alternativa per sistemare le figlie in sovrannumero: la monacazione forzata.
Le monache del Santa Chiara di Udine attuarono una forma di resistenza davvero unica nel suo genere. Queste donne trasformarono il convento udinese in uno spazio di contestazione, di libertà di pensiero, di dissacrazione dei dogmi religiosi e della cultura maschile con un fervore culturale impensabile per l'universo femminile dell'epoca. Ovviamente l'Inquisizione cercò con forza di ristabilire un ferreo controllo sul convento e su quella comunità femminile, ma le Clarisse riuscirono a resistere per anni facendosi beffe del potere maschile e creando, dentro il convento di Santa Chiara di Udine, un'alternativa sorprendente per una società in cui le donne erano escluse da ogni aspetto politico, economico e sociale della vita.
Evento speciale, in collaborazione con l’Assessorato alla Cittadinanza delle donne del Comune di Venezia, in occasione delle iniziative di DO.VE Donne a Venezia 2014.