Viva Verdi!

Nella memoria e nell’immaginario collettivi, evocare il nome di Giuseppe Verdi al cinema significa quasi di riflesso visualizzare una sequenza leggendaria: quella con cui si apre Senso (1954) di Luchino Visconti, al Teatro La Fenice in una Venezia del 1866 occupata dagli austriaci, e dove una rappresentazione del Trovatore diviene, sulle note del Di quella pira, occasione per un lancio di volantini irredentisti nonché scintilla per la rivolta. Una scena che suggella indelebilmente il rapporto fra la musica di Verdi e il contesto patriottico-risorgimentale, o addirittura rivoluzionario (anche se il compositore lo era ben poco, soprattutto politicamente…), e che inscrive la poetica verdiana in un preciso ambito iconografico e ideologico.

Tuttavia, il filo rosso che congiunge il nostro massimo operista e la settima arte è molto più lungo, complesso e contraddittorio, ed è un filo che si sviluppa lungo svariate direttrici, percorrendo per intero la storia del cinema. Si contano in oltre 400 i titoli nei quali, in un modo o nell’altro, la musica di Verdi funge da colonna sonora, diretta o indiretta: partendo dagli albori del cinema (Gli ultimi giorni di Pompei, 1913, di Mario Caserini e Eleuterio Rodolfi, con estratti da Aida e Otello) per giungere sino ai giorni nostri (Django Unchained di Quentin Tarantino, con il Dies Irae dalla Messa da Requiem, e Quartet di Dustin Hoffman, con La donna è mobile dal Rigoletto e il Brindisi dalla Traviata).

In questo secolo c’è di tutto: film-opera e serie televisive (ancora Rigoletto e il Va’ pensiero dal Nabucco rispettivamente per The mentalist e Cold case, il Brindisi per Wallander), cinema d’autore (da Woody Allen ad Andrej Tarkovskj, da Ang Lee a Martin Scorsese, da Billy Wilder a Bertolucci e i Taviani) e cinema di genere (la saga Twilight), utilizzo diegetico della musica e utilizzo di commento esterno… Trionfano quantitativamente la già citata aria del Duca di Mantova nel Rigoletto e il Brindisi della Traviata, seguiti dal Va’ pensiero, dal Dies Irae – pagina di per sé visivamente ed apocalitticamente evocativa, come testimonia la registrazione tv da Ravenna di un’esecuzione di Riccardo Muti del 1994 con la regia di Hugo Käch – e dall’Aida: più rara la presenza delle opere tarde (Don Carlos, Otello, Falstaff) e di quelle giovanili (Macbeth e Nabucco escluse).

Una presenza dunque capillare e spesso contestuale, che però trova qualche picco illuminante e alternativo in alcuni sporadici e preziosi casi, come in La villeggiatura (1973) di Marco Leto, dove Don Carlos, Macbeth e più marginalmente Rigoletto e Il Trovatore divengono emozionante e pertinente metafora della riflessione del regista su Potere, Ribellione e Dignità. Ma c’è poi tutto il Verdi “messo in scena” a teatro e ripreso in tv o al cinema, con registi spesso transitanti dall’uno all’altro genere (Zeffirelli, Cavani, Ozpetek): comprese operazioni temerariamente kitsch e “pop”, come l’Aida (1953) di Clemente Fracassi con Sophia Loren doppiata nel canto da Renata Tebaldi, e la perfida Amneris (voce della grande Ebe Stignani) interpretata… da Lois Maxwell, di lì a poco indimenticabile Miss Moneypenny nei film di 007.

E c’è infine il ristrettissimo capitolo delle biografie, centrate su una vita molto poco “filmabile” e perciò bisognose di agganciarla ad uno Zeitgeist, ad uno spirito del tempo di forte riconoscibilità: ecco allora il Divine armonie (o Giuseppe Verdi) del 1938 di Carmine Gallone, con Fosco Giachetti (che per il medesimo regista tornerà nei medesimi panni nel 1954 in Casa Ricordi), entrambi molto ideologici secondo l’opportunismo delle rispettive epoche – ossia patriottico/fascisteggiante il primo, resistenzial/risorgimentale il secondo –, il Giuseppe Verdi del 1953 di Raffaello Matarazzo con Pierre Cressoy, tutto “melodrammaticamente” incentrato sull’amore tra Verdi e Giuseppina Strepponi, e la puntigliosa biografia televisiva dell’82 di Renato Castellani con Ronald Pickup e Carla Fracci. Quanto basta, insomma, per autorizzarci a proclamare, in questo bicentenario della nascita, “Viva Verdi!” non solo ad orecchie ma anche ad occhi aperti.

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