Si inaugura sabato 28 novembre 2015, alle ore 19.00, presso gli spazi espositivi di Villa Orsini di Scorzè, 'Axial Ages', collettiva degli artisti Tiziano Bellomi, Christian
Gobbo, Enrico Minato e Paolo Pavan, a cura del critico d’arte Gaetano Salerno.
La mostra, visitabile fino a domenica 13 dicembre 2015, è realizzata da Segnoperenne in collaborazione
con il Comune di Scorzè e con il Circolo Culturale Scorzè; l’appuntamento espositivo costituisce il terzo
capitolo di un progetto culturale declinato in sei distinti episodi (Società Alternate - Verso nuove società
dell’arte, ideato e curato da Gaetano Salerno), ispirato alla filosofia della decrescita e incentrato sulla
ricerca e analisi dei fenomeni artistici e sociologici della contemporaneità. Nella costruzione di un
processo di decrescita anche l’arte rinuncia a linguaggi aulici, a forme iperboliche ma vacue, per
riorganizzarsi in strutture più concrete di comunicazione, verso produzioni calate all’interno di un
percorso formativo vicino alle contraddizioni e alle peculiarità di una realtà odierna complessa e
sfaccettata, apparentemente incomprensibile, necessarie per evidenziarne le incongruenze, i limiti e –
se possibile – fornire spunti concreti di cambiamento.
Dopo le collettive e.t.w.a.s. (aprile 2015, ricerca sull’arte del riciclo) e Lumìna Sòlis (maggio 2015, ricerca
sull’arte della luce), il terzo dei sei appuntamenti previsti sviluppa un percorso di analisi incentrato
sull’arte dell’assenza, intendendo con questa definizione forme espressive ermetiche la cui valenza
comunicativa è celata dall’oggetto artistico stesso, privato delle connotazioni di autoreferenzialità e di
ieratico iconismo entro i quali sovente l’arte contemporanea si trincera, sublimandosi nell’estetismo,
nell’istantaneità del compiacimento visivo, assolvendo erroneamente la propria funzione.
Axial Ages presenta al pubblico un’eterogenea e ragionata selezione critica dei lavori di quattro artisti
(lontani tra loro per linguaggi e ricerche) attraverso i quali istruire scambi biunivoci e sintonie nel
tentativo di individuare pretesti d’indagine verso nuove significazioni del gesto creativo, oltre
l’immediata e superficiale sua decodifica: i libri-oggetto (blocchi di sapere inerti, libri depotenziati della
funzione d’uso primaria, contenitori di culture inevitabilmente elitarie alle quali l’artista, incollando le
pagine, nega il libero accesso, costringendo il lettore a intuire percorsi autonomi, alternativi e
sperimentativi, verso la conoscenza e l’apprendimento) e l’azione performativo - didattica di Enrico
Minato, ragionamento sul valore delle parole, ricomposte attraverso azioni guidate alla decrittazione del
messaggio e alla sua compiutezza; le sculture al neon di Christian Gobbo, attraverso le quali la parola -
diffusa e trascesa in metafisici bagliori che smaterializzano l’oggetto nel concetto - diventa pretesto
riflessivo per percepire presunte forme d’illuminazione simili a scoperte iniziatiche; l’apparizione
epifanica e inattesa – apparentemente effimera - di elementi archetipici negli oli su tela di Paolo Pavan
le cui composizioni cromatiche, in perenne disfacimento e trasformazione, ridiscutono la certezza
dell’oggetto ritratto, negata dalla metamorfosi stessa in atto e dalla netta e inevitabile simbiosi tra la
forma compiuta e la sua speculare incompiutezza, visualizzazione pittorica del dubbio intellettivo; le
sculture di cemento, minimali e materiche - anch’esse eternizzazione di un archetipo - di Tiziano Bellomi,
i cui oggetti artistici (selezionati tra le opere prodotte da altri artisti), cementificati e imprigionati dentro
l’oggetto-manufatto, rifuggono un’immediata quanto parziale fruizione visiva e ridiscutono -
intraprendendo molteplici digressioni concettuali tra apparenza ed essenza - i principi di verità e di
autorevolezza di forme d’arte onnipresenti e onniscienti.
Pittura, scultura, installazioni, video, neon e azioni performative invaderanno lo spazio espositivo senza
soluzione di continuità, evitando logiche curatoriali consuete, per sviluppare invece un complesso
percorso enunciativo ed escatologico, privo di evidenti e aprioristiche direttive, nel tentativo di condurre
lo spettatore a rivelazioni posteriori, sospendendone il giudizio e la comprensione in un limbo
d’indefinitezza e di dubbi condivisi, necessari per la riscoperta di verità non più individuali, inferite dai
propri saperi pregressi ma riconducibili a esperienze esistenziali collettive di una società in formazione.