In dicembre la Casa del Cinema aderisce a
una serie d’iniziative di studio sul rapporto tra
filosofi a e cinema organizzate dal Dipartimento
di Filosofi a e Beni Culturali dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia con una rassegna di film
che hanno avuto un’incidenza notevole nello
sviluppo dei rapporti tra il pensiero filosofico
e la storia della Settima Arte. Da L’uomo con la
macchina da presa di Dziga Vertov, che dialoga
con gli scritti di Henri Bergson (in particolare
con Materia e memoria e L’evoluzione creatrice),
al Chaplin de Il circo, su cui Walter Benjamin
licenzierà alcune «folgoranti» impressioni nel
suo celebre saggio L’opera d’arte nell’epoca della
riproducibilità tecnica; da Umberto D. di Vittorio
De Sica, uno degli esempi di neorealismo che
per Gilles Deleuze propongono allo spettatore
delle situazioni ottico-sonore pure, a Au
hasard Balthazar di Robert Bresson, che coglie,
secondo Mauro Carbone, una serie di riflessioni
sul tempo, il cogito, la morte, la libertà
che Maurice Merleau-Ponty sviluppa nei suoi
testi sulla fenomenologia della percezione;
da Una notte a Rio di Irving Cummings, una
commedia musicale amata, anche per la sua
corriva ironia, da Ludwig Wittgenstein, fi no
a Storia di Marie e Julien di Jacques Rivette, storia
di spettri, tracce e assenze che fa proprio
l’orizzonte del pensiero decostruzionista di
Jacques Derrida.
A inaugurare il programma ci sarà però un
piccolo film, Uncle Josh at the Moving Picture Show
di Edwin S. Porter (1902), per il quale merita
spendere qualche parola in più. Insieme al
coevo The Countryman and the Cinematograph di
Robert W. Paul (1901), Uncle Josh è uno dei
primi film della storia del cinema che tematizza
il momento della visione. Siamo in una
sala cinematografi ca e lo zio Josh, un uomo
semplice, reagisce alle immagini che osserva
materializzarsi sul grande schermo: ripete i
gesti di una ballerina, scappa all’arrivo di un
treno in corsa e quando osserva un uomo molestare
una ragazza, si scaraventa contro di lui
per fermarlo strappando il telone e interrompendo,
così, la proiezione. Nel cortometraggio
di Porter c’è già tutto quello che è stato
e, in parte, è ancora il cinema: una cogente
riflessione sul rapporto tra finzione e realtà,
immedesimazione e straniamento, modernità
e tradizione e poi ancora spettacolo, sentimenti,
azioni, citazioni (l’arrivo del treno
è un chiaro riferimento a uno dei primi fi lm
dei Lumière), eccitazioni, delusioni e così via.
C’è, invero, qualcosa di più in questa piccola
storiella: c’è la manifestazione di quello che
Bergson chiamava “il meccanismo cinematografico del pensiero” e che oggi le neuroscienze
associano all’attività dei neuroni-specchio,
quei neuroni che si attivano allo stesso modo
sia durante le nostre azioni quotidiane, sia
di fronte a quelle, identiche, che osserviamo
compiere ai nostri interlocutori, compresi
quelli presenti sul grande schermo. Si chiamano
neuroni-specchio perché rifl ettono, anche
se spesso lo fanno meccanicamente, sulla base
di evidenze empiriche o esperienze pregresse.
Appurato che quelle cinematografi che del
sempliciotto Josh erano ben poche per motivarne
le reazioni così scomposte, se al suo
posto ci fosse stato lo zio Phil, lo zio filosofo,
come si sarebbe comportato? (Marco Dalla Gassa)